Domenica 24
gennaio nei locali della Comunità di Napoli è partita l’iniziativa culturale
“Concerti in Sinagoga”. Il primo concerto è stato YAM GADOL, tenuto dal gruppo
Raiz e Radicanto, un incontro tra la musica ebraico-sefardita e la canzone
napoletana.
Non è un
caso, come giustamente ha fatto notare il Rabbino Umberto Piperno, che questa
iniziativa sia partita dalla città partenopea, culla del bel canto, la cui
musica è conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. La musica e il canto costituiscono
un elemento ancestrale dell’animo umano, trascinano l’anima verso una più
elevata spiritualità, facendo avvicinare l’uomo a D-o. E non è un caso se il
canto ricopre una funzione determinante nella liturgia ebraica: la Cantica del
Mare, elevata dl popolo di Israel sulle rive del Mar Rosso, ne è la più antica
traccia nella Torah.
Il mare che
bagna Napoli è il collante che tiene uniti popoli e culture di quest’area
geografica. Il Mediterraneo è la grande madre, il suo bacino è il ventre
generoso che ha partorito le più antiche civiltà del passato, l’ombelico del
mondo. Sulle sue sponde si sono sviluppate le tre religioni monoteistiche:
l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Un antico detto napoletano dice “Le
dita della mano non sono tutte uguali” riferendosi ai figli che, anche se
partoriti dalla stessa madre possono avere caratteristiche fisiche e tratti
caratteriali diversi. Così i popoli del Mediterraneo, anche se diversi gli uni
dagli altri, hanno un elemento culturale comune: la musica, il canto. Nei temi
musicali di quest’area geografica si riscontra un filo conduttore che lega le
diverse culture, un cordone ombelicale che unisce i diversi figli alla madre,
esprimendo attraverso le melodie sensazioni comuni.
L’evento musicale
è stato accolto dalla cittadinanza con grande entusiasmo: la Sinagoga di
Napoli, suggestiva nel suo aspetto ottocentesco, era traboccante di gente.
Grande la soddisfazione dei Consiglieri che hanno collaborato all’organizzazione
della serata, un segno tangibile dell’apertura della nostra comunità verso il
mondo esterno in un abbraccio di conoscenza reciproca. La Sinagoga si è
trasformata in una “Casa di musica”: lo spettatore è stato trascinato in un
viaggio attraverso la ritmicità, fra cantighe sefardite, preghiere sinagogali,
canzoni napoletane e ritmi nordafricani e mediorientali, linguaggi che
s’inseguono come le note sul pentagramma.
Raiz,
napoletano convertito all’ebraismo, è lo specchio della nostra comunità,
composta come lui da molti conversos. Quando, durante la serata, ha intonato il
canto “Ki eshmerà Shabath” la melodia rispecchiava il suo ideale ebraico: “Siccome
io custodisco il giorno di Shabath D-o mi custodirà, è un segno eterno tra Lui
e me”. Raiz è “shomer shabath” e come tale egli rifiuta categoricamente di fare
spettacoli il venerdì sera. Certo, questa sua scelta all’inizio gli ha
procurato notevoli problemi, soprattutto con il suo agente, ma questo fa di lui
un motivo di orgoglio per tutta la comunità napoletana. La voce viscerale di
Raiz, intrecciandosi nel corso della serata con la dolcezza del canto di
Fabrizio Tiepoli (Radicanto) hanno reso l’essenza delle diverse anime musicali.
L’alta musicalità delle struggenti melodie sefardite, esprimendosi attraverso
la voce di Fabrizio Tiepoli ci ha trasportati nel mondo scomparso della cultura
sefardita.
L’omaggio
fatto da Raiz alla memoria del cantante napoletano Sergio Bruni con il brano
“Nun te scurdà” rispecchia il suo rapporto con la canzone classica napoletana
che, se pur travagliato negli anni della sua gioventù, ha raggiunto con la
maturità un sano equilibrio, portandolo a riappropriarsi delle proprie radici canore.
A
conclusione, vorrei riportare il messaggio lasciato da Raiz: “Ai quattro angoli
del Mare Nostrum si suona musica bellissima. Provare a suonare musica
pan-mediterranea significa anche sognare una regione finalmente libera dai
conflitti e dal razzismo, in cui i popoli si confrontano invece di scontrarsi.
Ci vorrebbe una lenta e profonda rieducazione al mutuo riconoscimento e alla
convivenza reciproca. Le canzoni non fanno certo le rivoluzioni, ma
contribuiscono a creare un clima culturale favorevole ai cambiamenti positivi o
almeno ci provano”.
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