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giovedì 1 dicembre 2016

BAR MITZVAH, L'EMOZIONE DI DARIO - di Ciro Moses D'Avino, Pagine Ebraiche n. 12, dicembre 2016

Dario Campagnanno col Maskil Ariel Finzi

Attraverso le generazioni il precetto essenziale ed eterno del bar mitzvah è stato sempre osservato dal popolo ebraico, quale privilegio di trasmissione del patto con haShem da una generazione all’altra. È quello che è avvenuto a Napoli sabato 12 novembre, quando alla presenza dell’intera qehillah è stato festeggiato il bar mitzvah di Dario, figlio di Paolo e nipote di Pierluigi Campagnano, ex Presidente ed attuale Vicepresidente della Comunità.
Siamo rimasti colpiti ed ammirati dall’amore con il quale il giovane ha affrontato questo momento della sua vita: ha dimostrato doti di apprendimento notevoli ed un grande impegno nell’affrontare questa prova, facendosi onore; ha letto l’intera parashah con calma, voce gradevole e senza errori.
Lo hanno guidato nel percorso di studio le due figure rabbiniche della nostra Comunità, il Rav Umberto Avraham Piperno e il Maskil Ariel Finzi, il primo trasmettendo il suo sapere halakhico, il secondo avviandolo al canto ed alla preghiera. La formazione religiosa del giovane Dario e la sua bravura nella lettura della parashah sono da ascrivere alla loro capacità di trasmettere cultura, dimostrando con il loro lavoro che non potendo puntare sulla quantità (gli Ebrei di Napoli sono circa 250) si può puntare sulla qualità del materiale umano presente in questa piccola realtà ebraica italiana.
Era presente alla cerimonia la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, parente del ragazzo, che ha potuto apprezzare il sentimento di affetto e di unione che regna nella nostra comunità, vissuta da tutti noi come una famiglia allargata, dove la gioia di uno è la gioia di tutti.
Dopo la cerimonia, un ricco kiddush offerto dalla famiglia a tutti i presenti ha rallegrato la giornata, rendendo questo shabbath di Lech lechah qualcosa di unico e meraviglioso.
La celebrazione di questo bar mitzvah è la dimostrazione concreta di come questa piccola comunità guardi al futuro e cerchi di mantenere vive le tradizioni e l’identità ebraica dei suoi aderenti.



mercoledì 9 novembre 2016

VISITA AL CIMITERO EBRAICO DI NAPOLI - di Ciro Moses D'Avino - da Pagine Ebraiche n. 12, dicembre 2016


L’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli nel mese di novembre ha promosso una serie di visite guidate su percorsi insoliti, allo scopo di valorizzare il patrimonio storico e artistico della città. Nell’ambito di questa rassegna sono stati toccati alcuni luoghi inusuali ma non per questo meno caratteristici ed interessanti: tra questi, il Cimitero delle Fontanelle, la Tomba di Virgilio, gli Ipogei dei Virgini e della Sanità e il Vecchio Cimitero Ebraico. La Comunità Ebraica di Napoli è stata ben lieta di aderire a questa iniziativa ed ha collaborato affinché nelle domeniche del 1º e 8 novembre i cancelli del cimitero fossero aperti alla cittadinanza.
Le visite, guidate in maniera gratuita da alcuni membri della comunità, hanno riscosso un discreto successo, sia per il numero dei visitatori sia per l’interesse dimostrato verso la storia e la religione ebraica.
Il cimitero ebraico di Napoli risale al 1863, quando la comunità in piena espansione demografica giudicò necessario acquistare un terreno per la sepoltura nell’area di Poggioreale. Nel 1874, essendosi ulteriormente ingrandita la comunità, il Consiglio avanzò presso il Comune di Napoli la richiesta di acquisto dei terreni contigui. La richiesta fu accolta ed i terreni furono venduti alla comunità per la somma di 15.000 lire.
Attualmente, purtroppo, il cimitero si presenta un po’ degradato: numerosi atti vandalici (l’ultimo risale a pochi mesi fa) hanno prodotto la distruzione di diverse tombe monumentali, creando un danno sia storico-artistico che economico, che la piccola comunità non può fronteggiare.
Per i visitatori è stata comunque un’esperienza emozionante: passeggiando tra le tombe del vecchio cimitero hanno potuto assaporare una pagina di storia napoletana a loro sconosciuta e attraverso il racconto delle guide rivivere le vicende di quegli uomini e di quelle donne della comunità ebraica napoletana, rendendoli non solo vivi nella memoria ma vivi davanti a haShem, perché per noi Ebrei il cimitero non è il luogo della morte ma la «casa della vita».


giovedì 6 ottobre 2016

XVII GIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA A PALERMO - Sandro Riotta (foto dell'autore)


 Per il terzo anno consecutivo a Palermo, l’Istituto Siciliano di Studi Ebraici ha dato vita alla Giornata Europea della Cultura Ebraica organizzando la visita guidata dell’antico quartiere ebraico e il convegno sul tema “Lingue e dialetti ebraici”.
Di mattina, accompagnato dalla guida turistica qualificata Chiara Utro, un nutrito gruppo di cittadini ha percorso i vicoli e le piazze dell’antica Giudecca di Palermo. 


La visita ha avuto inizio nelle vicinanze di quella che fu la Porta Giudaica e si è snodata lungo le vicine vie del centro storico che fino al 1492 furono abitate dalla più numerosa comunità ebraica siciliana. L’itinerario ha compreso il Palazzo Cusenza-Marchesi, dove è stato possibile visitare l’ipogeo posto a 10 metri di profondità (da alcuni studiosi ritenuto un mikveh), e si è concluso nell’Archivio Storico Comunale, la cui Aula Damiani Almeyda ripropone le proporzioni e le suggestioni dell’antica Sinagoga.
Durante una sosta fatta in Piazza Meschita, nei pressi della non più esistente Sinagoga di Palermo, l’attrice palermitana Stefania Galatolo ha letto alcuni brani tratti dalla lettera Obadiah di Bertinoro, risalente al 1488 (appena quattro anni prima dell'espulsione degli Ebrei dai territori spagnoli), che dà una descrizione particolareggiata della Sinagoga di Palermo, definendola senza «pari in tutto il mondo».

 
Nel pomeriggio, all’interno dell’Aula Damiani Almeyda dell’Archivio Storico Comunale, si è svolto l’incontro sul tema Lingue e dialetti ebraici.

Grande interesse hanno suscitato gli argomenti trattati dal rav Pierpaolo Pinhas Punturello, rappresentante per l’Italia di Shavei Israel (con la sua introduzione ricca di spunti) e gli interventi di Angela Scandaliato, docente di Storia e Filosofia ("Il giudeo-arabo e le lingue degli Ebrei di Sicilia: studi e ricerche"), e di Rita Calabrese, docente di Letteratura Tedesca ("Parlo tedesco perché sono ebreo"). L’incontro è stato moderato da Luciana Pepi, docente di Filosofia Medievale Ebraica.


Gli onori di casa sono stati fatti da Eliana Calandra, dirigente responsabile del Servizio Sistema Bibliotecario e Archivio Cittadino. All’incontro hanno partecipato con loro interventi Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, Andrea Cusumano, assessore comunale alla Cultura, Adham Darawsha, presidente della Consulta delle Culture del Comune di Palermo, e l’imam Ahmad Abd al Majid Francesco Macaluso, della Co.Re.Is.


Per tutta la durata della manifestazione nell’Aula Damiani Almeyda sono stati tenuti esposti due importanti documenti che fanno parte del patrimonio archivistico del comune di Palermo: il Registro contenente la promulgazione dell’Editto di Granata del 1492, scritta in volgare siciliano e in lingua spagnola, e la deliberazione n. 707 del 18 febbraio 1939 con cui il podestà di Palermo deliberò di “dispensare dal servizio” un ingegnere di I classe perché appartenente alla “razza ebraica”, in attuazione delle leggi razziste del 1938.
Al termine dell’incontro, l’“Ensemble Tahev Shir”, composto da Alejandra Bertolino Garcia (voce e percussioni) e Silvio Natoli (chitarra e oud), ha eseguito brani di musica ebraica sefardita e ashkenazita.


I lavori sono stati conclusi da un breve saluto di Evelyne Aouate, presidente dell’Istituto Siciliano di Studi Ebraici.


domenica 2 ottobre 2016

18 settembre 2016 GIORNATA DELLA CULTURA EBRAICA: Il linguaggio simbolico del cibo nella cucina ebraica


Dall'intervento di Ciro Moses D'Avino in occcasione della Giornata Della Cultura Ebraica

Kasher (o kosher, secondo la pronuncia Yidish degli ebrei ashkenaziti) è il termine con il quale si indica l’insieme delle norme dell’alimentazione ebraica.

Nell’ebraismo ha una grande importanza l’applicazione delle norme della kashruth, che possiamo definire «alimentazione ritualmente corretta». Mangiando cibi kasher e seguendo le rigide regole della kashruth, Israele si distingue dagli altri popoli. In questo modo, secondo l’interpretazione rabbinica la kashruth è il caposaldo per la sopravvivenza del popolo ebraico.

I cibi non kasher hanno un effetto negativo sulla purezza dell’anima: quando si mangia del cibo impuro l’impurità inizia a farsi strada nella mente e nel cuore, compromettendo nel profondo la spiritualità dell’ebreo, allontanandolo dal Signore e indebolendo l’adempimento delle mitzwoth. I cibi kasher esercitano un effetto positivo, purificando il cuore e rafforzando il desiderio dell’uomo di elevarsi spiritualmente. Il cibo non è semplicemente un mezzo di sostentamento fisico, esso è una fonte di sacralità in grado di elevare coloro che lo consumano a un livello superiore di santità. Questo concetto può essere ulteriormente compreso leggendo il commento di rav Shimshon Rafael Hirsh a Esodo 34,26: “Le prime primizie della tua terra porterai alla casa del S. tuo D-o, non cucinerai il capretto nel latte di sua madre”. Il rav Hirsh così spiega: “Ogni spiga di grano nel campo, ogni frutto sull’albero matura nella tua terra per il santuario della Torah del tuo D-o ed anche nel mangiare lo spirito divino che è in te non deve abbassarsi alla natura animale che è in te, ma ogni aspetto della tua natura animale dev’essere allontanato da te, così che tu possa diventare umano, un vero essere umano con tutta la virtù che ne comporta. La natura non è l’intermediario tra te e D-o, tu sei l’intermediario tra la natura e D-o”. Le leggi della kashruth, che regolano l’alimentazione e di riflesso la cucina ebraica, possono essere raggruppate in quattro punti:
1) Sono esclusi dall’alimentazione ebraica tutti quegli animali considerati impuri: quelli che non hanno lo zoccolo fesso e che non ruminano, gli uccelli rapaci, i pesci senza pinne e senza squame, i molluschi, i crostacei, i rettili e quasi tutti gli insetti ad eccezione di alcune specie di cavallette. 

2) “Non cucinare il capretto nel latte di sua madre” (Esodo 12,19): da questo precetto nasce la regola di tenere rigorosamente separati il latte e tutti i suoi derivati dalla carne. Questa proibizione riguarda tutti i tipi di carne, anche quella dei volatili e la stretta divisione degli utensili da cucina, pentole, stoviglie e posate; inoltre non è possibile mangiare carne e latte nello stesso pasto.

3) La carne per essere kasher dev’essere macellata secondo regole speciali che permettano la completa eliminazione del sangue: “Se qualunque uomo della casa d’Israele o dei forestieri che dimoreranno in mezzo a loro si ciberà di qualsiasi specie di sangue, rivolgerò la mia faccia contro la persona (…) perciò ho detto ai figli d’Israele: nessuna persona di voi si cibi di sangue ed il forestiero che dimora tra voi non si cibi di sangue” (Levitico 17, 10-12).
La macellazione rituale prende il nome di Shechità e prevede l’uccisione dell’animale con un coltello molto affilato, con un taglio netto dell’esofago, della giugulare e della trachea  provocare la morte istantanea ed il completo dissanguamento dell’animale; la carne sarà successivamente lavata, asciugata, salata, risciacquata; il processo della salatura deve durare almeno mezz’ora; il fegato, il cuore ed altre parti ricche di sangue subiranno il processo dell’arrostimento, tzelià. La coscia dell’animale potrà essere mangiata solo se è stato tolto il nervo sciatico.

4) Un cenno particolare meritano le regole alimentari di Pesach, pasqua. A Pesach la kashruth non solo diventa più rigida, ma ha regole sue particolari, tanto da poterla considerare a sé stante. Esempio: divieto di utilizzare i derivati dalla farina, tranne le «matzoth», i pani azzimi e la farina di matzah; divieto di utilizzo di stoviglie e servizi di piatti usati durante l’anno; divieto di cibarsi di legumi o di alcuni cereali. Tutti i prodotti utilizzati devono essere rigorosamente kasher  lePesach.
Quindi, stabilito il concetto di sacralità del cibo e dell’alimentazione, passiamo ad analizzare il linguaggio rituale del cibo, mettendo in evidenza l’utilizzo simbolico di determinate pietanze in occasione di alcune festività ebraiche.


LO SHABATH

Elemento assolutamente indispensabile sulla tavola del sabato è la challah, plurale challoth. È questo il pane rituale dello Shabath: sulla tavola apparecchiata nella casa di ogni ebreo osservante, troveremo sempre due pani a forma di treccia. La treccia come il simbolo di un serto nuziale, in quanto lo Shabath è la festività più importante di tutto l’anno e viene simbolicamente paragonata ad una sposa. I due pani ricordano la manna che veniva raccolta nel deserto in quantità doppia in occasione dello Shabath e questo pane leggermente dolce vuole ricordarci il sapore della manna. Ma il linguaggio nascosto della challah sta nei sette ingredienti che la compongono: farina, lievito, sale, zucchero, uovo, olio, acqua. 7 come i giorni della settimana ma anche perché nell’ebraismo è il numero perfetto. Inoltre, prima di infornare qualunque impasto ne viene tolto un pezzetto recitando la benedizione: “Barukh atta haShem elohenu melekh holam, asher qiddeshanu bemitzvotav vetzivvanu lehafrish challah terumah”. Questo per ricordare l’offerta dei pani che veniva portata al tempio di Gerusalemme.

LA CELEBRAZIONE DI PESACH – Il cibo lievitato. 

La tradizione prescrive di eliminare dalle abitazioni ogni forma di lievito, «chametz». I maestri notarono l’assonanza del termine ebraico che indica una sostanza soggetta a lievitazione con il termine «chamas» che significa violenza: l’eliminazione del chametz rappresenta quindi l’eliminazione della violenza sotto ogni forma. Ma il termine chametz ha anche un’altra assonanza con il termine «chumus», ceci: per questo motivo tra gli ebrei nordafricani vige il divieto di cibarsi di questi legumi durante gli otto giorni di Pesach.

LA MATZAH, il pane azimo - Sul piatto di Pesach sono disposte tre matzoth: secondo un’interpretazione rabbinica esse rappresentano il popolo d’Israele nella sua suddivisione in Cohanim, Leviti, Israeliti. Nel rituale del seder quella centrale viene spezzata, una metà viene nascosta e rappresenta l’afikomen, il Korban Pesach. Io vedo anche un significato aggiuntivo oltre quello tradizionale: l’azzima spezzata rappresenta un’altra componente del popolo d’Israele, quella dei gerim, coloro che, non ebrei di nascita, hanno accettato di far parte insieme ad Israele del patto con D-o.

L’azzima rappresenta il pane dell’afflizione e viene chiamata
«pane dei poveri», essendo priva di qualsiasi aggiunta di lievito e spezie, fatta soltanto con farina ed acqua. La matzah rappresenta anche la nostra anima, la parte spirituale che è in noi, incorruttibile come il pane azzimo, che non ammuffisce; essa rappresenta la fede che alberga in ognuno di noi, la genuina fede in D-o che ci fa superare i nostri limiti personali ed ottenere la libertà spirituale. La matzah, il cibo non lievitato, è l’elemento naturale e genuino, puro, non ancora corrotto. E anche l’uomo deve ritornare alla sua condizione di primitiva purezza, percorrendo all’indietro la storia dell’umanità, così come avviene durante la celebrazione del Seder di Pesach, che ricongiunge tutto il popolo d’Israele dovunque esso risieda e lo riporta alla condizione di originaria purezza di quella notte lontana che ha permesso la nascita di un popolo.
L’UOVO - Il piatto del Seder presenta un uovo sodo, come simbolo di lutto. L’uovo rappresenta l’incertezza della sorte umana ed è per questo motivo che in una casa dove si fa lutto si serve l’uovo sodo ai parenti più stretti del defunto. È un simbolo di lutto perché la sua forma circolare ricorda il ciclo della vita umana che riguarda tutti noi senza esclusione. Nel momento in cui ci rallegriamo non dobbiamo abbandonarci ad una gioia sfrenata: la vista dell’uovo nel vassoio ci rende coscienti della fragilità della vita umana; ma ci ricorda anche la morte dei primogeniti egiziani ed il concetto che siamo tutti figli di un
unico padre.
Secondo Nathan Sofer, vissuto in Germania nel XV secolo, la presenza dell’uovo sodo nella cerimonia del seder di Pesach può essere interpretata in questo modo: quanto più l’uovo viene riscaldato tanto più duro diventa; quanto più gli Egiziani opprimevano il popolo ebraico con lavori duri e servili tanto più si rafforzava il concetto di nazione in una popolazione di schiavi. Così, quanto più il popolo d’Israele viene oppresso nel corso della storia umana, tanto più l’oppressione serve a rafforzare la sua volontà di vivere e prosperare.

Un altro significato dell’uovo sodo è che all’epoca in cui esisteva il tempio, il Beith haMikdash, durante Pesach veniva consumata un’offerta festiva oltre l’agnello pasquale. Oggi quest’offerta festiva viene sostituita dall’uovo sodo, il cui nome in aramaico è beyà, che significa volere, interessarsi: l’uovo nel piatto del Seder ci ricorda il volere di D-o di liberare gli Ebrei dalla schiavitù in Egitto.

CHATZERET, ERBA AMARA – Viene utilizzata come erba amara la lattuga. Il significato simbolico è dato dal fatto che inizialmente il soggiorno in Egitto sembrò piacevole ma quando, successivamente, si trasformò in schiavitù divenne opprimente; così la lattuga all’inizio quando la mastichiamo ci rilascia un gusto delicato, dolce al palato, ma lentamente cambia e il retrogusto amaro prevale.
ACQUA SALATA (oppure acidulata) - L’acqua salata ricorda le lacrime versate dalle madri in Egitto, quando per ordine del Faraone venivano uccisi i neonati maschi; ma rappresenta anche il miracolo del Mar Rosso.

KARPAS, SEDANO – Quest’ortaggio presente nel piatto del Seder sta a rappresentare la primavera. Presso molti popoli antichi la primavera era la festa che liberava gli uomini dal lungo inverno, la fine di un periodo dell’anno paragonabile alla morte, il ritorno alla vita, mitizzato come la risurrezione delle divinità pagane. L’ebraismo invece, ha collegato la liberazione della natura dal lungo inverno alla liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù, trasformando la festa della primavera nella festa della libertà. Il karpas viene immerso in acqua salata, le lacrime versate dal popolo ebraico nella lunga schiavitù egiziana.

ZEROÀ, COLLO DI POLLO – Alla vigilia di Pesach agli ebrei fu comandato di sacrificare un agnello e di mangiarlo arrosto. Questa mitzwah doveva essere eseguita nel Tempio ma non esistendo più tale possibilità viene sostituita con qualcosa di diverso, il collo di gallina, che non può essere mangiato. Né la zeroà né qualsiasi tipo di carne arrostita può essere mangiata nelle due notti del Seder. Questa proibizione deriva dal fatto che non dobbiamo dare alla carne arrosto il significato di sacrificio pasquale.
CHAROSET – Il charoset, mescolanza di mele, noci, vino e spezie rappresenta il miscuglio di argilla e paglia con cui si costruivano i mattoni durante la schiavitù. La mela presente nel charoset richiama anche i meli che crescevano rigogliosi in Egitto, sotto i quali le donne ebree partorivano di nascosto i loro figli: come il melo produce prima il frutto e poi germoglia le foglie che servono a proteggerlo, così le donne d’Israele partorivano senza alcuna garanzia di salvezza per le loro creature.

KORECH, avvolgere erbe amare, matzah e charoset – Rappresenta nella celebrazione del Seder la mescolanza di amaro e dolce, tristezza e gioia, caratteristica della religione ebraica.

(Yom haZikkaron – Yom haAzmauth, festa di Purim, Shoah – nascita dello Stato di Israele)

“Questo è ciò che fece Hillel all’epoca del tempio: mise insieme dell’agnello di Pesach, la matzah e le erbe amare e le mangiò insieme”.



ROSH HASHANAH - Il Capodanno ebraico.

È caratterizzato dal suono dello shofar e dall’obbligo di fare

teshuvah, ma c’è un altro elemento che contraddistingue questa festa: l’usanza la sera di fare un rito particolare, che era caduto in disuso ma è stato reintrodotto in tempi recenti, il Seder di Rosh haShanah.  
Durante le due sere di Rosh haShanah è usanza mangiare alcuni tipi di frutta e verdura che sono di buon augurio per l’anno che entra. I cibi sono stati scelti perché il loro nome ebraico evoca altre parole ebraiche portatrici di valore augurale per il nuovo anno.

Innanzitutto la challah ha una forma particolare, circolare, a simboleggiare il ciclo della vita e dell’anno e prima di essere mangiata viene intinta nel miele. Durante il Seder è uso mangiare cibi che simboleggiano dolcezza:

1) La mela, che prima di essere mangiata viene intinta nel miele. Si recita la benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, rinnovare un anno nuovo dolce come il miele”.

2) Sul tavolo deve esserci un pesce intero, con la sua testa, per simboleggiare il fatto che dovremmo essere i capi, i primi nell’osservanza delle mitzwoth; inoltre, come i pesci hanno sempre gli occhi aperti, il S. volge verso di noi il suo occhio protettore. La benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che possiamo prolificare e moltiplicarci come pesci e custodiscici con occhio aperto”.
3) Si mangia il melograno, simbolo di ricchezza spirituale, recitando la benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri meriti siano molteplici come i semi del melograno”.
4) Datteri, collegati alla parola «tam», mettere fine. La benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che giunga una fine ai nostri nemici, coloro che ci odiano e che ci augurano male”.

5) Fagioli, collegati alla parola ebraica «rav», molti e «lev», cuore: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri meriti possano aumentare e che tu ci possa rincuorare”.

6) Porro, collegato alla parola «cheret», tagliare: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri nemici, odiatori e coloro che ci augurano il male siano recisi”.

7) Barbabietole, collegate alla parola «salach», allontanare. “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri nemici, odiatori e coloro che ci augurano il male siano allontanati”.

8) Zucca, collegato alla parola «karah», strappare ma anche annunciare: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri decreti malvagi siano strappati e che i nostri meriti siano annunciati davanti a te”.
Importante: un tempo sul tavolo era posta la testa di un ariete per ricordare la legatura di Isacco. D’altronde il suono dello shofar ricorda a D-o il sacrificio che nostro padre Abramo fece sul monte Morià e durante le feste di Rosh haShanah e di Yom Kippur questo suono riveste un ruolo determinante.