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lunedì 21 marzo 2016

CHANNUKKAH A NAPOLI, 13 dicembre 2015


La celebrazione di Channukkah, festa della luce, vede la sua conclusione con l’ottava accensione, quest’anno il 13 dicembre, che la Comunità Ebraica di Napoli ha deciso di effettuare pubblicamente in Piazza dei Martiri.
Durante la giornata il Rabbino Capo Umberto Piperno e il Maskil Ariel Finzi hanno impartito lezioni ai membri più giovani della comunità, mettendo in evidenza il significato della festa e coinvolgendo i bambini in attività di gruppo. Successivamente tutti insieme, ma in primis i più piccoli, abbiamo collaborato alla preparazione dei cibi tipici della festa, sufganioth e latkes, in un clima familiare di grande allegria.
La splendida Channukkyah, collocata nell’elegante piazza considerata il salotto della città, è stata realizzata in occasione del bar mitzvah del giovane Daniel Fiorenza, avvenuto quest’anno. È grazie al contributo della famiglia Fiorenza Curiel e di alcuni iscritti se la comunità ha potuto esibire un candelabro di così grande bellezza. Il manufatto è stato realizzato da un artigiano napoletano, Domenico Moxedano, che si è dimostrato artista di rara bravura. La channukkyah, alta 2 metri, rispecchia la menorah che era presente nel tempio di Gerusalemme, ma nella sua forma semplice ed elegante racchiude un messaggio nascosto: volutamente lo shammash non si diversifica dalle altre luci, in quanto si vuole affermare la non differenza tra i vari modi di appartenenza al popolo ebraico. Il messaggio che vogliamo trasmettere è che noi ebrei siamo tutti uguali, figli della stessa fiamma, come le luci della channukkyah.
Nello scenario della piazza cittadina, la presenza del candelabro ebraico accanto ai simboli natalizi della cultura maggioritaria, mette in evidenza la necessità per noi di diversificarci e di affermare l’importanza della nostra cultura. Questo non significa rigettare quella degli altri popoli, ma accettare in maniera selettiva, senza abbandonare la nostra identità. In questo modo noi rendiamo attuale l’antico valore di questa festività: la rivolta dei Maccabei che si ribellarono al processo di assimilazione è la lotta che ognuno di noi fa nella quotidianità della diaspora.
A questo proposito, vorrei aggiungere il concetto di ebraicità, tratto dalla biografia di Golda Meir: “Non si tratta, a mio giudizio, di osservanza e pratica religiose, essere ebreo significa e ha sempre significato, secondo me, sentirsi fieri di appartenere a un popolo che ha mantenuto la propria particolare identità per oltre duemila anni, nonostante le sofferenze e i tormenti inflittigli. Coloro i quali non sono stati in grado di resistere e hanno tentato di rinunciare alla loro ebraicità, l’hanno fatto, sempre a mio giudizio, a spese della loro identità di fondo, impoverendo grandemente se stessi”.


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