Dall'intervento di Ciro Moses D'Avino in occcasione della Giornata Della Cultura Ebraica
Kasher (o kosher, secondo la pronuncia Yidish degli ebrei
ashkenaziti) è il termine con il quale si indica l’insieme delle norme
dell’alimentazione ebraica.
Nell’ebraismo ha una grande importanza l’applicazione delle
norme della kashruth, che possiamo definire «alimentazione ritualmente corretta».
Mangiando cibi kasher e seguendo le rigide regole della kashruth, Israele si
distingue dagli altri popoli. In questo modo, secondo l’interpretazione rabbinica
la kashruth è il caposaldo per la sopravvivenza del popolo ebraico.
I cibi non kasher hanno un effetto negativo sulla purezza
dell’anima: quando si mangia del cibo impuro l’impurità inizia a farsi strada
nella mente e nel cuore, compromettendo nel profondo la spiritualità
dell’ebreo, allontanandolo dal Signore e indebolendo l’adempimento delle mitzwoth.
I cibi kasher esercitano un effetto positivo, purificando il cuore e rafforzando
il desiderio dell’uomo di elevarsi spiritualmente. Il cibo non è semplicemente
un mezzo di sostentamento fisico, esso è una fonte di sacralità in grado di
elevare coloro che lo consumano a un livello superiore di santità. Questo concetto
può essere ulteriormente compreso leggendo il commento di rav Shimshon Rafael Hirsh a Esodo 34,26: “Le prime primizie della tua
terra porterai alla casa del S. tuo D-o, non cucinerai il capretto nel latte di
sua madre”. Il rav Hirsh così spiega: “Ogni spiga di grano nel campo, ogni
frutto sull’albero matura nella tua terra per il santuario della Torah del tuo
D-o ed anche nel mangiare lo spirito divino che è in te non deve abbassarsi
alla natura animale che è in te, ma ogni aspetto della tua natura animale
dev’essere allontanato da te, così che tu possa diventare umano, un vero essere
umano con tutta la virtù che ne comporta. La natura non è l’intermediario tra
te e D-o, tu sei l’intermediario tra la natura e D-o”. Le leggi della kashruth,
che regolano l’alimentazione e di riflesso la cucina ebraica, possono essere
raggruppate in quattro punti:
1) Sono esclusi dall’alimentazione ebraica tutti quegli animali
considerati impuri: quelli che non hanno lo zoccolo fesso e che non ruminano, gli
uccelli rapaci, i pesci senza pinne e senza squame, i molluschi, i crostacei, i
rettili e quasi tutti gli insetti ad eccezione di alcune specie di
cavallette.
2) “Non cucinare il capretto nel latte di sua madre” (Esodo
12,19): da questo precetto nasce la regola di tenere rigorosamente separati il
latte e tutti i suoi derivati dalla carne. Questa proibizione riguarda tutti i
tipi di carne, anche quella dei volatili e la stretta divisione degli utensili
da cucina, pentole, stoviglie e posate; inoltre non è possibile mangiare carne
e latte nello stesso pasto.
3) La carne per essere kasher dev’essere macellata secondo
regole speciali che permettano la completa eliminazione del sangue: “Se
qualunque uomo della casa d’Israele o dei forestieri che dimoreranno in mezzo a
loro si ciberà di qualsiasi specie di sangue, rivolgerò la mia faccia contro la
persona (…) perciò ho detto ai figli d’Israele: nessuna persona di voi si cibi
di sangue ed il forestiero che dimora tra voi non si cibi di sangue” (Levitico
17, 10-12).
La macellazione rituale prende il nome di Shechità e prevede
l’uccisione dell’animale con un coltello molto affilato, con un taglio netto
dell’esofago, della giugulare e della trachea provocare la morte istantanea ed il completo
dissanguamento dell’animale; la carne sarà successivamente lavata, asciugata,
salata, risciacquata; il processo della salatura deve durare almeno mezz’ora; il
fegato, il cuore ed altre parti ricche di sangue subiranno il processo
dell’arrostimento, tzelià. La coscia dell’animale potrà essere mangiata solo se
è stato tolto il nervo sciatico.
4) Un cenno particolare meritano le regole alimentari di Pesach,
pasqua. A Pesach la kashruth non solo diventa più rigida, ma ha regole sue
particolari, tanto da poterla considerare a sé stante. Esempio: divieto di
utilizzare i derivati dalla farina, tranne le «matzoth», i pani azzimi e la
farina di matzah; divieto di utilizzo di stoviglie e servizi di piatti usati
durante l’anno; divieto di cibarsi di legumi o di alcuni cereali. Tutti i prodotti utilizzati devono essere rigorosamente kasher lePesach.
Quindi, stabilito il concetto di sacralità del cibo e dell’alimentazione,
passiamo ad analizzare il linguaggio rituale del cibo, mettendo in evidenza
l’utilizzo simbolico di determinate pietanze in occasione di alcune festività
ebraiche.
LO SHABATH
Elemento
assolutamente indispensabile sulla tavola del sabato è la challah, plurale
challoth. È questo il pane rituale dello Shabath: sulla tavola apparecchiata
nella casa di ogni ebreo osservante, troveremo sempre due pani a forma di
treccia. La treccia come il simbolo di un serto nuziale, in quanto lo Shabath è
la festività più importante di tutto l’anno e viene simbolicamente paragonata
ad una sposa. I due pani ricordano la manna che veniva raccolta nel deserto in
quantità doppia in occasione dello Shabath e questo pane leggermente dolce
vuole ricordarci il sapore della manna. Ma il linguaggio nascosto della challah
sta nei sette ingredienti che la compongono: farina, lievito, sale, zucchero,
uovo, olio, acqua. 7 come i giorni della settimana ma anche perché
nell’ebraismo è il numero perfetto. Inoltre, prima di infornare qualunque
impasto ne viene tolto un pezzetto recitando la benedizione: “Barukh atta
haShem elohenu melekh haʽolam, asher
qiddeshanu bemitzvotav vetzivvanu lehafrish challah terumah”. Questo per
ricordare l’offerta dei pani che
veniva portata al tempio di Gerusalemme.
LA
CELEBRAZIONE DI PESACH – Il cibo lievitato.
La
tradizione prescrive di eliminare dalle abitazioni ogni forma di lievito, «chametz».
I maestri notarono l’assonanza del termine ebraico che indica una sostanza
soggetta a lievitazione con il termine «chamas» che significa violenza:
l’eliminazione del chametz rappresenta quindi l’eliminazione della violenza
sotto ogni forma. Ma il termine chametz ha anche un’altra assonanza con il
termine «chumus», ceci: per questo motivo tra gli ebrei nordafricani vige il
divieto di cibarsi di questi legumi durante gli otto giorni di Pesach.
LA
MATZAH, il pane azimo - Sul piatto di Pesach sono disposte tre matzoth: secondo
un’interpretazione rabbinica esse rappresentano il popolo d’Israele nella sua
suddivisione in Cohanim, Leviti, Israeliti. Nel rituale del seder quella
centrale viene spezzata, una metà viene nascosta e rappresenta l’afikomen, il
Korban Pesach. Io vedo anche un significato aggiuntivo oltre quello
tradizionale: l’azzima spezzata rappresenta un’altra componente del popolo
d’Israele, quella dei gerim, coloro che, non ebrei di nascita, hanno accettato
di far parte insieme ad Israele del patto con D-o.
L’azzima
rappresenta il pane dell’afflizione e viene chiamata
«pane
dei poveri», essendo priva di qualsiasi aggiunta di lievito e spezie, fatta
soltanto con farina ed acqua. La matzah rappresenta anche la nostra anima, la
parte spirituale che è in noi, incorruttibile come il pane azzimo, che non
ammuffisce; essa rappresenta la fede che alberga in ognuno di noi, la genuina
fede in D-o che ci fa superare i nostri limiti personali ed ottenere la libertà
spirituale. La matzah, il cibo non lievitato, è l’elemento naturale e genuino,
puro, non ancora corrotto. E anche l’uomo deve ritornare alla sua condizione di
primitiva purezza, percorrendo all’indietro la storia dell’umanità, così come
avviene durante la celebrazione del Seder di Pesach, che ricongiunge tutto il
popolo d’Israele dovunque esso risieda e lo riporta alla condizione di originaria
purezza di quella notte lontana che ha permesso la nascita di un popolo.
L’UOVO
- Il piatto del Seder presenta un uovo sodo, come simbolo di lutto. L’uovo
rappresenta l’incertezza della sorte umana ed è per questo motivo che in una
casa dove si fa lutto si serve l’uovo sodo ai parenti più stretti del defunto.
È un simbolo di lutto perché la sua forma circolare ricorda il ciclo della vita
umana che riguarda tutti noi senza esclusione. Nel momento in cui ci
rallegriamo non dobbiamo abbandonarci ad una gioia sfrenata: la vista dell’uovo
nel vassoio ci rende coscienti della fragilità della vita umana; ma ci ricorda
anche la morte dei primogeniti egiziani ed il concetto che siamo tutti figli di
un
unico
padre.
Secondo
Nathan Sofer, vissuto in Germania nel XV secolo, la presenza dell’uovo sodo
nella cerimonia del seder di Pesach può essere interpretata in questo modo:
quanto più l’uovo viene riscaldato tanto più duro diventa; quanto più gli
Egiziani opprimevano il popolo ebraico con lavori duri e servili tanto più si
rafforzava il concetto di nazione in una popolazione di schiavi. Così, quanto
più il popolo d’Israele viene oppresso nel corso della storia umana, tanto più
l’oppressione serve a rafforzare la sua volontà di vivere e prosperare.
Un
altro significato dell’uovo sodo è che all’epoca in cui esisteva il tempio, il
Beith haMikdash, durante Pesach veniva consumata un’offerta festiva oltre
l’agnello pasquale. Oggi quest’offerta festiva viene sostituita dall’uovo sodo,
il cui nome in aramaico è beyà, che significa volere, interessarsi: l’uovo nel
piatto del Seder ci ricorda il volere di D-o di liberare gli Ebrei dalla
schiavitù in Egitto.
CHATZERET,
ERBA AMARA – Viene utilizzata come erba amara la lattuga. Il significato
simbolico è dato dal fatto che inizialmente il soggiorno in Egitto sembrò
piacevole ma quando, successivamente, si trasformò in schiavitù divenne
opprimente; così la lattuga all’inizio quando la mastichiamo ci rilascia un
gusto delicato, dolce al palato, ma lentamente cambia e il retrogusto
amaro prevale.
ACQUA
SALATA (oppure acidulata) - L’acqua salata ricorda le lacrime versate dalle
madri in Egitto, quando per ordine del Faraone venivano uccisi i neonati maschi;
ma rappresenta anche il miracolo del Mar Rosso.
KARPAS,
SEDANO – Quest’ortaggio presente nel piatto del Seder sta a rappresentare la
primavera. Presso molti popoli antichi la primavera era la festa che liberava
gli uomini dal lungo inverno, la fine di un periodo dell’anno paragonabile alla
morte, il ritorno alla vita, mitizzato come la risurrezione delle divinità
pagane. L’ebraismo invece, ha collegato la liberazione della natura dal lungo
inverno alla liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù, trasformando la
festa della primavera nella festa della libertà. Il karpas viene immerso in
acqua salata, le lacrime versate dal popolo ebraico nella lunga schiavitù
egiziana.
ZEROÀ,
COLLO DI POLLO – Alla vigilia di Pesach agli ebrei fu comandato di sacrificare
un agnello e di mangiarlo arrosto. Questa mitzwah doveva essere eseguita nel
Tempio ma non esistendo più tale possibilità viene sostituita con qualcosa di
diverso, il collo di gallina, che non può essere mangiato. Né la zeroà né
qualsiasi tipo di carne arrostita può essere mangiata nelle due notti del
Seder. Questa proibizione deriva dal fatto che non dobbiamo
dare alla carne arrosto il significato di sacrificio pasquale.
CHAROSET
– Il charoset, mescolanza di mele, noci, vino e spezie rappresenta il miscuglio
di argilla e paglia con cui si costruivano i mattoni durante la schiavitù. La
mela presente nel charoset richiama anche i meli che crescevano rigogliosi in
Egitto, sotto i quali le donne ebree partorivano di nascosto i loro figli: come
il melo produce prima il frutto e poi germoglia le foglie che servono a
proteggerlo, così le donne d’Israele partorivano senza alcuna garanzia di
salvezza per le loro creature.
KORECH,
avvolgere erbe amare, matzah e charoset – Rappresenta nella celebrazione del
Seder la mescolanza di amaro e dolce, tristezza e gioia, caratteristica della
religione ebraica.
(Yom
haZikkaron – Yom haAzmauth, festa di Purim, Shoah – nascita dello Stato di
Israele)
“Questo
è ciò che fece Hillel all’epoca del tempio: mise insieme dell’agnello di
Pesach, la matzah e le erbe amare e le mangiò insieme”.
ROSH
HASHANAH - Il Capodanno ebraico.
È
caratterizzato dal suono dello shofar e dall’obbligo di fare
teshuvah,
ma c’è un altro elemento che contraddistingue questa festa: l’usanza la sera di
fare un rito particolare, che era caduto in disuso ma è stato reintrodotto in
tempi recenti, il Seder di Rosh haShanah.
Durante
le due sere di Rosh haShanah è usanza mangiare alcuni tipi di frutta e verdura
che sono di buon augurio per l’anno che entra. I cibi sono stati scelti perché
il loro nome ebraico evoca altre parole ebraiche portatrici di valore augurale per il nuovo
anno.
Innanzitutto
la challah ha una forma particolare, circolare, a simboleggiare il ciclo della
vita e dell’anno e prima di essere mangiata viene intinta nel miele. Durante il
Seder è uso mangiare cibi che simboleggiano dolcezza:
1)
La mela, che prima di essere mangiata viene intinta nel miele. Si recita la
benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri,
rinnovare un anno nuovo dolce come il miele”.
2) Sul
tavolo deve esserci un pesce intero, con la sua testa, per simboleggiare il
fatto che dovremmo essere i capi, i primi nell’osservanza delle mitzwoth;
inoltre, come i pesci hanno sempre gli occhi aperti, il S. volge verso di noi
il suo occhio protettore. La benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e
D-o dei nostri padri, che possiamo prolificare e moltiplicarci come
pesci e custodiscici con occhio aperto”.
3)
Si mangia il melograno, simbolo di ricchezza spirituale, recitando la
benedizione: “Sia la tua volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i
nostri meriti siano molteplici come i semi del melograno”.
4) Datteri,
collegati alla parola «tam», mettere fine. La benedizione: “Sia la tua volontà,
S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che giunga una fine ai nostri nemici,
coloro che ci odiano e che ci augurano male”.
5)
Fagioli, collegati alla parola ebraica «rav», molti e «lev», cuore: “Sia la tua
volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri meriti possano
aumentare e che tu ci possa rincuorare”.
6)
Porro, collegato alla parola «cheret», tagliare: “Sia la tua volontà, S. nostro
D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri nemici, odiatori e coloro che ci
augurano il male siano recisi”.
7)
Barbabietole, collegate alla parola «salach», allontanare. “Sia la tua volontà,
S. nostro D-o e D-o dei nostri padri, che i nostri nemici, odiatori e coloro
che ci augurano il male siano allontanati”.
8)
Zucca, collegato alla parola «karah», strappare ma anche annunciare: “Sia la tua
volontà, S. nostro D-o e D-o dei nostri padri,
che i nostri decreti malvagi siano strappati e che i nostri meriti siano
annunciati davanti a te”.
Importante:
un tempo sul tavolo era posta la testa di un ariete per ricordare la legatura
di Isacco. D’altronde il suono dello shofar ricorda a D-o il sacrificio che
nostro padre Abramo fece sul monte Morià e durante le feste di Rosh haShanah e
di Yom Kippur questo suono riveste un ruolo determinante.